Buongiorno a tutti.
E’ un onore ed un piacere per me poter aprire questa cerimonia di inaugurazione del 148° anno accademico del Politecnico di Milano, con un impegno che si traduce oggi in parole, per passare alle azioni già da domani, insieme a tutti i rappresentanti.
Ho pensato molto a cosa dire quest’oggi. Mi sarebbe piaciuto poter proporre un discorso di ampio respiro, disteso e pacato, ma non posso sottacere alcune, precise cose che ritengo di dover dire.
Quest’ anno si è voluta sottolineare l’importanza delle “reti” per l’università. Accanto a quelle che coinvolgono l’Università nel suo carattere istituzionale, esistono molte reti, non sempre coincidenti con le prime, che dell’ università coinvolgono direttamente le persone ed in particolare gli studenti. Tra le tante che mi sono venute in mente, ne ho volute scegliere tre.
La prima è rappresentata dall’università stessa.
La rete che lega gli studenti all’università è, purtroppo, ancora troppo smagliata; questo penso sia vero in generale e lo è, magari in misura diversa, anche per il Politecnico. Non si tratta semplicemente di offrire servizi, che pure esistono e di qualità, sebbene perfettibili.
Va sottolineato, peraltro, che nella realtà del nostro ateneo è presente una singolare apertura e propositività a riguardo. Si tratta di far “innamorare” gli studenti dell’università, dalle opportunità che offre fino alla struttura stessa, alle mura, ai luoghi che le appartengono; di fare del mondo universitario non un asettica mistione di aule e lezioni, ma un contesto, in cui imparare e crescere; di legare indelebilmente luoghi ed incontri a questi anni della nostra vita.
Sicuramente si è fatto molto, penso che il fatto che uno studente possa contribuire all’evento di oggi sia significativo, ma molto si può ancora fare, per saldare un rapporto che non può che portare enormi vantaggi, che renda gli studenti parte attiva e irrinunciabile nella costruzione dell’università futura.
E ritengo che il modo migliore per cominciare sia (Rettore Azzone) condividere con loro, fin da subito e con insistenza, il progetto che vorrà portare avanti in questi anni. La seconda è la rete che lega i giovani alla città di Milano.
Io non sono di Milano, ma di Todi, una piccola città nel cuore dell’Umbria. Mi sono trasferito qui quasi quattro anni fa, proprio per iscrivermi al Polimi. In questo lasso di tempo, non senza fatica, ho allacciato un legame molto forte con questa città, ho trovato i miei punti di riferimento e i miei “rifugi” ed è per questo che, per quanto non potrò mai sentirla come “casa”, avrò inevitabilmente a cuore il suo bene. Ho sempre visto, però, in Milano una forte contraddizione tra la straordinaria vivacità e spirito che dimostra in alcune situazioni e la sotterranea indifferenza che percorre quotidianamente le sue strade.
Non è l’indifferenza nella sua accezione comune, nè la freddezza o l’ostentazione di formalità; è l’indifferenza tangibile, solida, che a volte fa veramente dubitare della nostra anima “sociale”. Sono convinto, però, che esista un volto diverso e migliore di Milano e che gran parte di questo volto abbia i tratti dei giovani, che, non ancora induriti dal lavoro e, forse, con qualche sogno in più, conservano una sensibilità diversa da quella del mondo adulto.
Sono i giovani che ormai parlano fluentemente l’inglese e, magari, il cinese o l’arabo, che hanno imparato la ricchezza di culture diverse, che sono particolarmente attenti alle politiche sociali, che si ribellano alle ingiustizie, quando l’indifferenza si unisce alla paura del diverso, che creano e producono, quando si accorgono di avere un interlocutore attento ed aperto.
Soprattutto, sono anche i ragazzi che frequentano il Politecnico, quelli che vengono da lontano, quelli che vivono nelle nostre residenze, tessendo la “rete globale” a contatto con decine di culture differenti. Siamo tutti noi: gli studenti che imparano da questo ateneo l’attitudine alla progettualità e al confronto e contemporaneamente l’etica nello svolgere i propri compiti.
Ho appena detto che si deve fare in modo che gli studenti vivano l’università: il passo successivo, non necessariamente in senso cronologico, potrebbe essere quello di fare in modo che la città impari a vivere il Politecnico, aprendo i confini dei nostri Campus all’intera comunità cittadina, facendo del nostro ateneo, oltre che un eccellente polo di formazione, un promotore di cultura, eventi ed occasioni, non solo per i propri studenti, ma anche per la realtà in cui essi vivono.
Soltanto attraverso una scelta di questo tipo vedo la possibilità di rendere questa città maggiormente consapevole dell’enorme risorsa che gli studenti rappresentano per essa, con la speranza che a tale consapevolezza si accompagni un modo nuovo di rivolgersi loro.
La terza rete che ho individuato, infine, è quella che lega gli studenti alla società. Con questa parola intendo tutte le realtà con le quali dovremo confrontarci una volta usciti da queste mura: la politica, le amministrazioni, le imprese.
In questo particolare momento storico, penso che i giovani sentano forte l’esigenza di moralità, in tutti i campi.
Moralità che significa, ad esempio, riconoscimento e promozione del merito, etica del lavoro, politiche giuste e coraggiose, processi di valutazione e sostegno delle aziende che operano “eticamente” (riguardo alla tutela dei lavoratori, alla sicurezza sul lavoro, alla responsabilità sociale d’impresa).
In una civiltà, la nostra, che ha risolto, al pari di un complesso d’Edipo, la cesura prima ed il conflitto generazionale poi, quest’ultima rete è, probabilmente, la più importante.
Noi siamo pronti a mettere in gioco la nostra intelligenza, la nostra passione e le nostre capacità, a sottrarci alla sempre più diffusa disaffezione dalla politica, a confrontarci, a cercare risposte efficaci, frutto di un punto di vista alternativo, ad assumere un ruolo diverso, attivo, incisivo e credibile all’interno della società nella quale abbiamo scelto di vivere.
Per cambiare, in meglio, un’ Italia che non ci piace, perché non investe sui giovani e sul merito, tagliando le borse per il Diritto allo studio, perché sceglie di non finanziare la ricerca di base, perché non riesce a vivere serenamente e positivamente la propria storia e la propria vita politica, perché permette all’arroganza ed alla slealtà di imporsi sulle regole.
Noi siamo pronti, ma vogliamo un vostro segnale, Presidente Marcegaglia e Presidente Formigoni, e dei mondi che rappresentate oggi.
Un segnale forte, più di una promessa, che ci dica che non siamo i soli a desiderare qualcosa di diverso, che ci dimostri di avere in voi un alleato nella costruzione di un paese più giusto e civile, in cui il merito vada di pari passo con le pari opportunità e in cui i giovani possano costruire serenamente il proprio futuro.
Vogliamo vivere in Europa, ci sentiamo cittadini del mondo ma, soprattutto, non vogliamo scappare dall’Italia.
Sono ormai alla conclusione del mio intervento ed è giunto il momento degli auguri.
Quest’anno, tuttavia, oltre all’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico, si festeggiano i 150 anni dell’unità d’Italia. Allora gli auguri non li faccio al nostro ateneo, che in fondo non ne ha troppo bisogno, né ai docenti o agli studenti; e nemmeno a voi che siete qui in questo momento.
Se me lo permettete, gli auguri li faccio all’Italia! E lo voglio fare, rubando le parole a Francesco De Gregori. “Viva l’Italia metà giardino e metà galera, viva l’Italia, l’Italia tutta intera. Viva l’Italia, l’Italia che lavora, l’Italia che si dispera e l’Italia che si innamora, l’Italia metà dovere e metà fortuna, viva l’Italia, l’Italia sulla luna.” Grazie.